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Regione Sardegna e PSA: Regole certe per la suinicoltura

Dopo trent'anni, nonostante gli ingenti investimenti per nuove strutture aziendali e per indennizzi a fronte di periodici abbattimenti, stiamo assistendo alla dimostrazione del complessivo fallimento

6 Settembre 2012
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Contro il ritorno della peste suina una collaborazione più stretta tra operatori economici, amministrazioni pubbliche e tecnici. Nel 1982, a quattro anni di distanza dalla prima comparsa nell'isola del morbo della PSA, la Regione Sardegna promosse un piano di ristrutturazione degli allevamenti suinicoli nell'ambito di attuazione del piano di eradicazione della peste suina africana.

Dopo trent'anni, nonostante gli ingenti investimenti per nuove strutture aziendali e per indennizzi a fronte di periodici abbattimenti, stiamo assistendo alla dimostrazione del complessivo fallimento dell'iniziativa sia sul fronte del rilancio del settore suinicolo sardo, oggi più che mai in crisi, sia sul fronte della lotta alla malattia, presente più che mai in Sardegna. In altre realtà europee interessate dalla stessa problematica hanno superato la questione sanitaria e rilanciato il comparto produttivo.

In Sardegna invece, la situazione si è trascinata per lunghi anni all'inseguimento vano della malattia e trascurando completamente la ricostruzione del comparto su nuove basi sanitarie e con moderni, rigidi e sicuri criteri di allevamento. Le cronache delle scorse settimane, relative al ritrovamento del virus in uno dei più importanti allevamenti suinicoli dell’isola, hanno drammaticamente evidenziato come in Sardegna serva una svolta radicale che, facendo tesoro della trentennale esperienza passata e visti i risultati disastrosi della stessa, rimetta con coraggio in discussione quanto fatto finora.

Con due obbiettivi inscindibili: la peste suina africana può e deve essere eradicata in via definitiva dalla nostra isola, il comparto produttivo va rilanciato valorizzando i nostri allevamenti e i nostri prodotti derivati. Va infatti affermata con forza la necessità di passare ad una gestione complessiva del settore, che veda il pieno coinvolgimento del mondo agricolo e degli operatori professionali in un programma di rilancio del comparto, evitando una gestione esclusivamente sanitaria indispensabile ma non sufficiente. In questo quadro non è pensabile che possa essere ancora tollerata l'esistenza di allevamenti clandestini con animali al pascolo brado e senza alcun controllo sanitario.

Con il protocollo di intesa tra Regione Sardegna e organizzazioni professionali agricole del mese di maggio, la giunta si è impegnata ad avviare e completare entro il 30 giugno 2012 l'anagrafatura di tutto il patrimonio suinicolo sardo. Va rilevato che a tutt'oggi niente di tutto ciò sembra sia stato fatto, eppure senza il completamento di questo programma nessun obbiettivo in materia potrà essere conseguito. Quel protocollo indica molte misure che se attuate potranno creare le premesse indispensabili affinché la suinicoltura sarda aspiri a diventare una realtà economica di grande interesse ed in grado di competere con le migliori realtà europee. Certo è però che ciò non sarà possibile se non si farà finalmente chiarezza su troppe ambiguità del passato, se non si guarderà ad un ambizioso programma di rilancio che punti sugli allevamenti razionali e sulla valorizzazione della razza sarda, se non si adotteranno drastiche misure di repressione contro ogni forma di allevamento clandestino. A riguardo vanno individuati con precisione i ruoli delle amministrazioni locali, dell'Istituto zooprofilattico, delle agenzie Laore e Agris, del Servizio veterinario regionale, delle strutture di Ara e Apa, del Corpo forestale e delle organizzazioni professionali.

Venerdì, 31 agosto 2012/Regione Sardegna.Nota stampa.

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